Parroci

Mons. Cosimo Maria Luciano

Nacque a Secondigliano il 21 settembre 1917, da Antonio e da Antonietta Tartaglia.

Terzo di cinque figli, ebbe una infanzia povera, perché il padre abbandonò la famiglia quando lui aveva cinque anni. A sette anni già lavorava: fu garzone di barbiere, di calzolaio, di venditore di stoffe, di fornaio, di falegname e di salumiere.

All’età di tredici anni, mostrando chiari i segni della vocazione, entrò in seminario a Ducenta (CE) presso il P.I.M.E. (Pontificio Istituto Missioni Estere) e poi nel Seminario maggiore di Milano, dove ricevette la tonsura ed i quattro ordini minori dal Ven. Cardinale I. Schuster. Non potè continuare, per motivi di salute, nel cammino missionario e fu, quindi, ordinato sacerdote del clero secolare a Napoli da S.E. Giuseppe Nicola il 28 giugno del 1942; fu nominato, quasi subito, cappellano della caserma dei bersaglieri del quadrivio Napoli-Capodimonte.

Alla fine del 1944 fondò una scuola, la prima per Secondigliano e dintorni, che ospitava, gratuitamente, i ragazzi del popolo di tutta la città. Erano gli anni della guerra; la miseria, la paura, le bombe devastavano la città e disperdevano soprattutto i ragazzi, spesso rimasti soli. Don Cosimo, che aveva sofferto una povertà che non avrebbe mai più dimenticata, non riesce a restare insensibile davanti a tanta miseria umana e spirituale.
Esattamente un anno dopo, il 15 novembre 1945 alla stessa ora, le 14.00, ricevette dei locali più ampi, lasciati liberi dagli inglesi, alla II Traversa Duca degli Abruzzi, nacque così l’Educatorio Nazareth, che accoglieva fino a 500 ragazzi, sempre a titolo gratuito e contava sullo aiuto di una decina di volontari in-terni e moltissimi esterni.
Contemporaneamente svolgeva il lavoro di Vicario Cooperatore della Parrocchia SS. Martiri Cosma e Damiano, in Secondigliano. Il dover, quindi, correre in continuazione da un luogo all’altro gli meritò l’appellativo di: “Prete volante”.
Con l’Educatorio Nazareth, don Cosimo voleva dimostrare il suo sconfinato amore per i fanciulli abbandonati, illegittimi, orfani.
Nell’immediato dopoguerra alle rovine materiali si aggiungevano quelle di ordine morale; anche se la guerra era finita la violenza e l’odio mietevano ancora tante vittime. Le vittime più innocenti di quella immane tragedia erano i ragazzi, gli esseri più indifesi della società. Erano affamati, privi di affetti e calore umano, vagavano per la città senza una meta.
Don Cosimo capì, tra i primi, che era necessario impegnarsi perché quei ragazzi fossero tolti dalla strada e raccolti in un ambiente dove si sentissero amati, dove potessero riscoprire la loro identità di esseri umani e far nascere il senso della dignità.
L’Opera Nazareth ha, così, assistito e molti avviati ad un lavoro circa trentamila ragazzi. Ma non era sufficiente! Nel 1946, con enormi sacrifici e con l’aiuto della Divina Provvidenza, nella quale ebbe un’illimitata fiducia, istituì colonie marine, montane ed elioterapiche, i ragazzi necessitavano anche di cure.
Riuscì ad organizzare fino a sette colonie all’anno!
Nel 1955 fondò l’Istituto “Infanzia Felice”, ai Colli Aminei, che affidò all’insegnante Carolina Bonocore (madre Carla). Per migliaia di ragazzi l’Opera Nazareth è stata una salvezza e non solo per loro.

CARTOLINA ORFANOTROFIO

Quando le autorità alleate voleva-no aiutare la povera gente di Secondigliano, riconoscevano una sola figura capace di gestire con onestà e giustizia l’azione: Padre Luciano!
L’assoluta fiducia nella Divina Provvidenza e la preghiera hanno reso possibile tutto il suo operato. Quando non c’era nulla da mangiare o mancavano le coperte ed i cappotti, i ragazzi, sotto la sua guida, levavano le loro preghiere a Dio, che puntualmente venivano esaudite.
Vogliamo ricordare un episodio fra i tanti: era il 19 marzo 1946, festa di S. Giuseppe. Anche quel giorno non c’era molto da mangiare, ma senza perdersi d’animo, fin dal mattino, le preghiere di tutti, ragazzi e collaboratori adulti, con padre Luciano, in testa si innalzarono verso il cielo. Alle 13.00 precise suonò il campanello del cancello principale: era un pasticciere che portava una grande quantità di “zeppole” di S. Giuseppe, dolce tradizionale napoletano, che per essere state un po’ troppo nel forno non potevano esse-re vendute, ma potevano essere tranquillamente mangiate.
P. Luciano è stato per questi ragazzi quello che l’UNICEF è, oggi, a livello mondiale!
Il suo impegno sociale a favore dei ragazzi è sempre stato rilevante e meritorio in tutta la città, ma soprattutto a Secondigliano.
Non sempre, però, la risposta del cielo era così pronta! Lo stesso p. Luciano scriveva: “…immancabilmente assistiti dalla Divina Provvidenza…sempre generosa… anche se qualche volta ci faceva e si faceva attendere fino agli estremi…”.
A tante persone, che ricorrevano a lui, ha insegnato a confidare nella Divina Provvidenza e spesso ne diventava egli stesso strumento!
I primi tre ragazzi dell’Educatorio Nazareth sono arrivati al sacerdozio: i fratelli don Giovanni e don Dome-nico Mazza e don Nicola Musella.
Il suo apostolato a favore delle vocazioni sacerdotali, diaconali e religiose è stato eccezionale: avendo incontrato Cristo, ha sollecitato ed aiutato altri a trovarlo ed a donarsi a Lui. Oltre questi tre sacerdoti vi sono state altre vocazioni da lui sostenute e seguite con amore di padre.
L’11 febbraio 1961 fondò l’Istituto delle Missionarie Laiche di Maria
Corredentrice, di cui è confondatrice e presidente la signorina Carolina Bonocore. L’intento era la totale consacrazione del suoi membri, che restano nel mondo, a Dio. Nel 1969 l’Istituto fu eretto in Pia Unione dal Cardinale Corrado Ursi; nel giugno del 1990 la Santa Sede approvò le Costituzioni, il 23 giugno il Card. Michele Giordano decretò l’elezione della Pia Unione ad Istituto Secolare di Diritto Diocesano.
Nel 2008 l’Istituto Secolare è stato elevato al grado di Diritto Pontificio con la nuova denominazione:
“Missionarie Laiche di Maria, Madre del Redentore”
I principi del carisma dell’Istituto sono: la consacrazione secolare, la missionarietà, l’accoglienza e la venerazione alla Beata Vergine Maria.
L’Istituto consta di 130 membri in Italia, Svizzera, Brasile e Mozambico e di un cospicuo numero di famiglie missionarie: le FAMIL.MA.C.

FAMILMAC

Nel 1966, per obbedienza al Cardinale Alfonso Castaldo, accettò di essere parroco di una parrocchia da fondare e formare.
Nacque, così, S. Maria della Natività, che ha festeggiato la solenne dedicazione, celebrata dal cardinale Corrado Ursi, il 29 maggio 1982.
Don Cosimo è stato padre di una parrocchia, che da undicimila abitanti è cresciuta fino a trentamila e non è mai indietreggiato davanti a nessuna situazione umana, pastorale, spirituale, economica.
Ha cercato sempre di essere un “prete mangiato”. Ha sempre amato tutti, qualunque fosse la categoria o condizione sociale, ascoltando con prontezza il richiamo della sofferenza fisica, morale, spirituale. Il suo telefono era lo strumento che gli portava l’S.OS. di mille anime sofferenti, anche dall’estero.
Il suo amore ha sempre privilegiato i poveri vedendo in loro realmente la persona di Cristo. Quanti poveri sono passati nella sua vita! E nessuno, neanche uno, è andato via a mani vuote!
Alla fine del 1974, gli fu dato un libro del sacerdote Serafino Falvo: “L’ora dello Spirito Santo”; da quel momento, sono sue parole, la sua vita cambiò: incontrò il Rinnovamento nello Spirito!
Riscoprì il Dio dell’amore gioioso, della lode parlata, cantata e vissuta, della preghiera spontanea, del canto in lingue e della profezia. Riscoprì lo Spirito di Dio che ti pervade tutto quando con fede Lo invochi e ti abbandoni a Lui. Lo Spirito che vivifica, che illumina e dà un senso nuovo alla tua vita!
Ben presto si rese evidente che il Signore gli aveva fatto dono di alcuni carismi, soprattutto di quello della profezia, del discernimento e delle guarigioni. Per questo era ricercato da tante persone.
Si adoperò instancabilmente per-ché tutti quelli che erano sulla sua strada conoscessero questa corrente di spiritualità, tanto che dal gruppo da lui guidato sorsero ben 23 altri gruppi.
Era anche un poeta, oltre che giornalista e scrittore; sono migliaia i suoi scritti. Era affascinato dal so- le, dalla luce, dal fulgore, dai bagliori di luce, tutti termini che metteva in relazione con Gesù, lo Spirito Santo, con il Padre.
Padre Luciano sarà sempre ricordato per le opere compiute, ma soprattutto per l’amore per il prossimo che lo determinava, senza questo non gli sarebbe stato possibile farsi strumento nelle mani di Dio.
Dal 28 giugno 2004, la sue spoglie mortali riposano nella “sua chiesa”.

Don Giuseppe Provitera

Ricordo di un giovane sacerdote

Quando mi è stata chiesta una breve presentazione di Padre Giuseppe per i suoi anni di sacerdozio, mi sono chiesta: “una mamma come può presentare un figlio?”.
Padre Giuseppe per me è stato un figlio e, nel dirlo, lo rivedo nella chiesa di S. Caterina a Formiello, ragazzetto, durante la preparazione alla Prima Comunione, vivacissimo, ma generoso e pronto verso gli altri.
La vita, o forse meglio dire Gesù, attraverso Padre Pio, di cui sono figlia spirituale, lo ha posto sulla mia strada ancora una volta, dopo qualche anno, quando giovanotto, aveva tante idee sul suo futuro e nessuna riguardava il sacerdozio.
Ha iniziato a far parte del gruppo di preghiera di Padre Pio, di cui ero la Capogruppo, secondo il volere espresso da Padre Pio, quando era ancora in vita, e che si è tenuto prima nella chiesa di S. Crispino e successivamente nella chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, sotto la direzione spirituale di Mons. Luigi Scarpelli, ed in questa chesa P. Giuseppe ha iniziato, per così dire, a formarsi, a crescere nell’amore verso gli altri, a curare gli anziani del ritiro di S. Nicola a Nilo ed i giovani di quella Parrocchia.
Attraverso varie peripezie, indugi, sofferenze e tanta preghiera, Padre Pio lo ha condotto a quel bivio in cui un’anima deve scegliere per permettere al Signore di lavorare secondo i Suoi disegni.
E Padre Giuseppe ha detto sì, accettando le difficoltà e la rinunzia al mondo che lo circondava, pur appartenendo ad una famiglia agiata e già con uno studio di commercialista aperto e con ottime prospettive.
La sua non è una vocazione tardiva, è una vocazione sofferta; è una vocazione di scelta tra il mondo ed il cielo e questo è possibile, non dico solo, ma soprattutto nell’età della ragione e dei sensi.
E ricordo il nostro viaggio a Lourdes con il compianto Cardinale Corrado Ursi; l’incontro decisivo che Padre Giuseppe, ancora con qualche esile dubbio, ebbe con lui, ed il “via” che quel grande prelato gli diede.
Nei suoi sogni cominciarono ad esserci le missioni, i lontani popoli, senza Gesù, da evangelizzare: gli dissi, allora, di restare dove il Signore l’aveva messo, perché proprio nel nostro paese c’è tanto da lavorare per fare amare Dio e testimoniare la carità e l’amore verso gli altri.
Divenuto sacerdote nel 1978, la sua prima preoccupazione sono stati gli ultimi ed ha istituto la mensa dei poveri, che l’ha accompagnato in questi anni.
Ed i vagabondi, gli ultimi, i poveri sono veramente molto importanti per lui, che quando si rende conto dello stato di urgente necessità, fa di tutto per offrire almeno un po’ di sollievo.
Uno dei tanti episodi: ha sempre preferito le scarpe vecchie, perché più comode, riducendole veramente agli estremi. Un suo parrocchiano pensò bene di regalargliene un paio nuove. Ne fu molto contento, ma quando un poveretto, entrato in chiesa notò le scarpe e glielo disse, “Le vuoi?”, gli chiese Padre Giuseppe, e subito se le tolse e le fece calzare a quel bisognoso e si mise le vecchie di lui.
Un’altra volta incontrò un vagabondo troppo sporco e maleodorante. Lo portò in Parrocchia, lo fece entrare nel bagno e lo lavò.
Un inverno, uno dei suoi poveri entrò in Parrocchia tutto infreddolito, P. Giuseppe andò in sagrestia, si tolse il maglione, indossò la giacca e regalò la maglia a quell’infelice.
Nella sua prima Parrocchia, SS. Annunziata a Fonseca, il suo bisogno di portare tante anime a Gesù era così grande che non sopportava di vedere la chiesa semivuota e così prese l’abitudine, almeno i primi tempi, di andare con il megafono per quei vicoli stretti a chiamare le persone perché partecipassero alle funzioni, che cercava di rendere vivaci e gioiose, incurante di qualche minaccia che gli veniva rivolta.
Gesù è gioia, gli avevo sempre detto, e non nascondo la mia felicità nell’osservare il suo darsi da fare per comunicare questa grande verità agli altri, salutando tutti con un esultante: “Pace e gioia”, tanto che cominciarono a chiamarlo Padre Pace e gioia.
Non fu un periodo facile, per incomprensioni e lotte, ma fu una grande soddisfazione quando il Cardinale Michele Giordano, nella sua prima visita, esclamò ai presenti: “Padre Giuseppe è una stella cometa”.
Ed è stato il primo sacerdote, credo, che in questa città abbia sentito il bisogno di esporre il bilancio delle entrate e delle uscite della chiesa con le offerte nominative ed anonime, i lavori necessari fatti e da farsi, le opere di abbellimento della casa di Gesù.
È stato sicuramente il primo ad attuare le disposizioni ricevute per l’evangelizzazione delle famiglie. È così riuscito ad organizzare, formare vari gruppi di persone, che portavano nei nuclei familiari del quartiere i temi che preparava, delineava e rendeva, per così dire, “masticabili” da tutti.
Per tanti anni mi ha accompagnato nei pellegrinaggi a S. Giovanni Rotondo, ed ogni volta che predicava durante la Messa e successivamente meditava la Via Crucis era una gioia grande assaporare le sue parole e vedere come riuscivano a penetrare nel cuore non solo di chi lo conosceva, ma anche di coloro che si univano a noi, senza conoscerci, assetati di santa gioia spirituale e di qualche momento di forte ed intensa preghiera.
Riusciva a far penetrare nei cuori la sofferenza della croce, esaltando nel modo giusto e più umano possibile quello che Dio aveva saputo offrirci come esempio da seguire.
Sì, il gran dono della parola ha avuto P. Giuseppe dal Signore ed è un dono che con umiltà profonda egli ha saputo far fruttare ogni giorno di più.
Nel suo cuore vi sono sempre stati soprattutto gli anziani, che diventano ogni giorno più deboli ed indifesi.
Ho visto, così, il sorgere di una casa per questi particolari ultimi(: Casa Serena), in cui P. Giuseppe ha profuso e profonde veramente impegno, carità e amore.
Tanti, tanti episodi mi vengono alla mente, ma mi fermo qui. Fermo il mio desiderio di accarezzare questo figlio per la gioia che mi ha dato, nella certezza che tanti altri sapranno testimoniare la loro gratitudine al Signore per un sacerdote che si è dato agli altri, vivendo solo dell’aiuto di Dio e della Sua Mamma Celeste.

testimonianza in occasione del 25 anno di sacerdozio

Maria Luisa Del Giudice